CONVERSANDO CON GLI AUTORI #11: Intervista a Liz Moore


Vi sono degli esseri misteriosi - sempre gli stessi - che se ne stanno come sentinelle a ogni bivio della vostra esistenza diceva Modiano nel romanzo Villa triste. Persone che, casualmente, hanno sfiorato le nostre vite eppure hanno lasciato tracce - più o meno visibili - ma imprescindibili.  
Di persona, il nostro rapporto durò soltanto alcuni mesi, ma la nostra corrispondenza diciotto anni.
È questo il caso di Arthur Opp e Charlene Turner. Professore e studentessa, un tempo. Relitti umani, scarti sociali, ora. L'uomo, intrappolato in un involucro di carne, da anni ha smesso di insegnare e non esce più di casa. L’unico legame con il mondo esterno è lo scambio epistolare che intrattiene con Charlene. 

Liz Moore


Uno scambio che elude la realtà, che la ricostruisce omettendo particolari della vita di entrambi. Fino a un punto di non ritorno. Fino a quando Charlene si troverà costretta a chiedere aiuto all’unica persona in cui abbia mai creduto: Arthur. Il castello di bugie, sapientemente costruito nel corso degli anni, sgretolandosi, rivelerà verità inaspettate. Come il figlio, Kel, giovane promessa del baseball, che Charlene vorrà affidare al vecchio professore.
La storia - venata di malinconia e grazia - orchestrata dalla statunitense Liz Moore nel romanzo Il peso (Beat, traduzione di Ada Arduini, pagg. 351, 9 euro) narra dell’incontro di più solitudini. Partendo da una consapevolezza: nessuno si salva da solo.
Ho avuto il piacere di incontrare la scrittrice in occasione della manifestazione letteraria Libri Come svoltasi a Roma nel mese di Marzo. 
 
Il romanzo è strutturato in diversi capitoli in cui si alternano i punti di vista dei protagonisti: Arthur Opp e Kel Keller. Un uomo e un ragazzo, due figure maschili. È stato difficile restituire la voce di questi personaggi?

In un certo senso sì, ma in realtà il sesso dei protagonisti non è stato determinante. L’obiettivo era cercare di restituire una voce autentica, credibile. Ho scelto di narrare questa storia usando la prima persona singolare e, nel momento in cui - dopo vari tentativi - sono riuscita a trovare e plasmare i personaggi di Arthur e Kel, mi sono resa conto che questa alternanza narrativa sarebbe stata la chiave migliore per la struttura del romanzo.

Una figura centrale de Il peso è Charlene, filo rosso che collega le due figure maschili. Nonostante l’importanza che ha questo personaggio, tutto quello che sappiamo della donna viene dalle parole, dai racconti e dai ricordi di Arthur e Kel.

Inizialmente, il libro presentava una struttura diversa: si alternavano tre/quattro voci. Una di queste era quella di Charlene. Sebbene abbia provato a mantenere il suo punto di vista, durante la stesura, mi sono resa conto di quanto non fosse in armonia con le restanti parti del testo. Non riesco a spiegare esattamente il motivo. Alla fine, rendendomi conto dell’evidenza, ho pensato che sarebbe stato più interessante provare a eliminare completamente la sua voce e permettere al lettore di conoscerla solo attraverso il riflesso - le parole - dei due uomini che più le sono stati vicini. Utilizzando questo espediente narrativo, ho voluto enfatizzare ulteriormente la sua complessa fragilità. Charlene non è solo un personaggio alla deriva, è soprattutto un essere umano che si è perso durante il cammino della vita.

Una curiosità: la quarta voce a cui accennava era quella di Yolanda?

Si, esatto. (sorride).

Soffermandoci sul significato del titolo Il peso due possibili interpretazioni nascono spontanee: il peso in senso letterale, come massa corporea di Arthur Opp ma, anche, un peso simbolico, metaforico. Il peso della solitudine, delle scelte sbagliate che permea la maggior parte delle pagine del testo e che - in diverse sfumature - è presente nella vita di tutti i protagonisti. Come è arrivata a questo titolo?

Non esistendo un equivalente diretto, è molto difficile tradurre in una qualsiasi lingua romanza la parola inglese “heft”. Personalmente, è come se mi immaginassi, sulle spalle di tutti i personaggi presenti nel testo, una sorta di peso, di carico emotivo. L’accezione più letterale del termine non è da ricercare solo nei problemi di obesità che riguardano Arthur: vi è un punto preciso, nel romanzo, in cui Kel solleva fisicamente la madre. La donna, da sempre incapace di accudire il figlio, diventa a sua volta un peso fisico, tangibile per il ragazzo; nello stesso modo in cui - come dicevo poco fa - lo diventa il corpo per Arthur. Entrambi i personaggi portano e sopportano un peso fisico ed emotivo. Inoltre, in inglese, la parola “heft” racchiude in sé una sfumatura di gravità, solennità, serietà che può fornire una terza ulteriore chiave interpretativa al titolo del libro.

Le pagine che descrivono l’incontro tra Arthur e Charlene sono ricche di richiami al mondo della letteratura. Quali sono stati gli autori che più hanno influenzato la sua prosa?

I modernisti inglesi, americani e irlandesi. È quasi un cliché, ma non posso non citare James Joyce, in particolare “Gente di Dublino”: è stato il primo momento in cui mi sono sentita quasi fisicamente trasportata da un testo, in quel caso da una raccolta di racconti. È stata la prima volta in cui ho percepito pienamente il potere della letteratura. Ero abbastanza giovane quando ho letto quel libro e, dopo, ho scoperto molti altri autori: da Flannery O’Connor a Katherine Anne Porter, successivamente Alice Munro e William Trevor.

Forse anche per questo bagaglio letterario-culturale, Il peso è nato prima come racconto e poi, solo in un secondo momento, come romanzo.

Ti sei documentata. (ride).
Forse... In ogni caso, anche in un racconto è necessaria una certa tensione narrativa. È necessario che accada qualcosa. Non funzionava né come racconto né come romanzo fino a quando non ho capito che sarebbe stato necessario introdurre altri personaggi per complicare la storia di Arthur. A quel punto, mi sono resa conto che ci sarebbe stato abbastanza materiale per costruire un intero libro.

 
Oltre a essere autrice di romanzi è anche insegnante di scrittura creativa. Quanto c’è della sua esperienza personale nelle figure di Arthur insegnante e di Charlene studentessa?

Ottima domanda. Direi molto. Gli aspetti dell’insegnamento che Arthur ama sono gli stessi che amo io. Mi piace accompagnare gli studenti alla scoperta delle opere che mi hanno colpito, vedere i loro volti illuminarsi - per la prima volta – affrontando lo studio di un determinato autore. Ho trasmesso ad Arthur tutto questo. Al tempo stesso, non sono così lontana temporalmente dal momento in cui ero “semplicemente” una studentessa. Posso ricordarmi molto bene la vicinanza che si era instaurata con alcuni professori. E non parlo di una vicinanza emotiva – non conoscevamo nulla delle reciproche vite private. Nutrivo un estremo rispetto nei loro confronti, un’affinità elettiva. Anche se la relazione tra Arthur e Charlene non è stata lunga, proprio per la mia esperienza personale, posso comprendere pienamente quanto abbia significato per Charlene incontrare Arthur, quanto sia stato importante condividere con lui un tratto - seppur breve - della propria vita. E che per lui sia stato lo stesso.

Il finale de Il peso è aperto. Sarà possibile ritrovare questi personaggi in un altro lavoro?

Sto ultimando un libro che non ha nulla a che vedere con questi personaggi. Non rifuggo completamente l’idea di far tornare – in un modo o l’altro – uno dei protagonisti de “Il peso”, in un ipotetico futuro. È un espediente utilizzato spesso in letteratura. Forse, se dovessi richiedermelo tra qualche anno, la mia risposta sarebbe diversa. Per adesso, sono interessata ad altre storie e ad altri personaggi.

Può darci qualche anticipazione sul testo al quale sta lavorando? È prevista la pubblicazione in Italia?

Dovresti chiederlo a loro (indicando lo staff della casa editrice).

La pubblicazione negli Stati Uniti è prevista per maggio 2016. È un romanzo che ruota attorno alla relazione tra un padre e una figlia. Il padre è uno scienziato - lavora nel campo della tecnologia -  con diversi segreti che la figlia sta tentando di scoprire.

Qualcosa di completamente diverso sì, ma i legami familiari e non ritornano...

Si, è molto diverso rispetto a “Il peso”, ma è ancora incentrato sui personaggi: mi interessa ciò che succede nelle loro vite. I legami familiari sono il cuore del romanzo: un’ulteriore similitudine è data dalla presenza di un adolescente nel testo. Per svelare i segreti del padre, la mia protagonista dovrà aprirsi al mondo - un po’ come Arthur e Kel – e iniziare a intessere relazioni che vanno oltre il nucleo familiare. I legami più importanti sono quelli che decidiamo di scegliere, ogni giorno.
 

 

Intervista e traduzione di Francesca Marson

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